mercoledì 26 marzo 2014

Un'esperienza personale di Kenzaburo Ōe

Copertina di Un'esperienza personale

*** Attenzione: di seguito anticipazioni sulla trama (SPOILER) ***


Disturbante.
 
Questo è un romanzo che probabilmente, se non lo avessi affrontato con il gruppo di lettura su Twitter, avrei abbandonato dopo i primi capitoli.
Mi è piaciuto? No.
Questo non significa che il libro non sia valido dal punto di vista letterario, sicuramente l’autore ha la grande capacità di trasmettere le emozioni e le apatie provate dal personaggio principale, la scrittura è fluida e con pochissimi punti morti.
L’argomento non è dei più leggeri.
L’arrivo di un figlio “anormale”mette in crisi un padre che forse non era preparato nemmeno a riceverne uno sano di figli, e che a dire il vero non si presentava adeguato nemmeno per una vita matrimoniale o lavorativa.
Il protagonista è fondamentalmente un egoista immaturo che insegue il miraggio dell’Africa intesa come libertà dalla sua vita insoddisfacente e costrittiva.
L’arrivo di un figlio con una malformazione cerebrale fa scendere agl’inferi il padre (Tori-bird) che si troverà a fare i conti con tutte le parti più disgustose della sua personalità.
Tori-bird farà un’incursione nel marciume più nero che lo porterà poi ad una risalita alla superficie come uomo nuovo, più maturo e consapevole.
A non piacermi non è stato certo il messaggio che alla fine si riceve dal libro, bensì il dovermi trovare faccia a faccia con le miserie del protagonista, che in certi passaggi mi hanno nauseata, indignata, offesa. Ho trovato orrendo il modo in cui la moglie viene lasciata fuori da qualsiasi decisione, tenuta all’oscuro perfino della malformazione del figlio; ho trovato orrende le perversioni sessuali di Tori-bird che oscillano tra il sadismo e il masochismo; ho trovato orribile la decisione iniziale del padre di far morire di consunzione il piccolo senza nemmeno tentare di operarlo.
Ma ciò che mi ha disturbato non è solo relativo a Tori-bird.
Ho trovato osceno il modo dei medici di approcciarsi al genitore definendo il bambino “la cosa”, così come non ho potuto soffrire l’indifferenza vera o apparente (insita forse nel modo di fare giapponese?) degli altri familiari o degli amici e colleghi del protagonista.
E’ stata una lettura spiacevole, infarcita sapientemente di pensieri e atteggiamenti miserabili che fanno male, forse perchè troppo realistici.
Un libro scritto in modo asciutto, crudo ma a tratti poetico.
Un’argomento spinoso affrontato in modo non banale.
Tuttavia, pur riconoscendo i giusti meriti all’autore, posso affermare serenamente che Kenzaburo non fa per me.

Per le citazioni rimando direttamente alla pagina della Twittlettura.




 

venerdì 21 marzo 2014

Gli indifferenti di Alberto Moravia

Copertina di Gli indifferenti

Pesante (3,2 stelle) 
Dopo aver letto “La disubbidienza” ed averlo apprezzato molto mi sono apprestata a leggere l’opera prima di Moravia con una disposizione forse troppo carica di aspettative. Le opere prime raramente sono perfette, e seppur a livello letterario si parli sicuramente di ottimo romanzo, forse in alcuni passaggi si percepisce l’acerbità dello scrittore.
Nel definire Moravia acerbo voglio specificare  che si tratta di un uso dell’aggettivo molto relativo, il linguaggio usato e la lucidità di osservazione dei personaggi denotano comunque una maturità sopra la media. Per l’epoca in cui è stato scritto credo che si possa considerare questo romanzo piuttosto scabroso, forse in certi ambienti era normale comportarsi in un determinato modo, ma trovarselo sbattuto in faccia dalle pagine di un libro è un’altra cosa.
La storia è irritante, i protagonisti insopportabili e non se ne salva uno, nemmeno colui che pareva avere un minimo di istinto ad affrancarsi dalla cosiddetta “indifferenza”.
Più si va avanti nella lettura e più la narrazione diventa ripetitiva e soffocante e più verrebbe voglia di prendere tutti a schiaffi per come buttano via la vita nella nullafacenza.
Le parole più usate sono “indifferenza” e “disgusto”come sintomi dell’apatia dei fratelli Michele e Carla; ammetto che spesso non sono riuscita proprio a calarmi nelle sensazioni provate dai protagonisti che sembrano avvolti in una depressione costante, un’anestesia morale e mentale, e mi è stato proprio impossibile capire certi atteggiamenti così lontani dal mio modo di vedere la vita.
E’ stata una lettura faticosa, non piacevole, da metà libro in poi non vedevo l’ora di finirlo per terminare questo supplizio d’inconcludenza e vacuità.
Se Moravia voleva destare sentimenti claustrofobici e disturbanti nel lettore  è riuscito nella missione.

Citazioni:

“ ...non sapeva odiare un uomo che a malavoglia invidiava.”

“ E’ mai possibile che ella non senta che si può essere meglio di così?”

“...un’intollerabile disgusto di questa sua versatile indifferenza che gli permetteva di cambiare ogni giorno, come altri il vestito, le proprie idee e i propri atteggiamenti.”



giovedì 20 marzo 2014

L'amica geniale di Elena Ferrante

Copertina di L'amica geniale

Chi è geniale? Chi possiede acutezza innata ma finisce per sprecarla facendo scelte infelici oppure chi sfrutta appieno la propria intelligenza normale per migliorarsi? Questa è la domanda che mi ha lasciato il libro di Elena Ferrante.
La storia di Lila e Lenu senza dubbio si legge agevolmente fatta eccezione per la quantità enorme di personaggi che spesso mi hanno confusa, soprattutto a causa della mia scarsa memoria, lo ammetto. Si tratta di un bel romanzo nel senso sostanziale del termine, in quanto contiene gli ingredienti giusti per avvincere il lettore: c’è il racconto appassionante di un’amicizia, i personaggi sono abbastanza ben delineati, c’è la fotografia di una Napoli anni ’50, c’è una sorta di spiegazione di certe dinamiche di violenza verbale e fisica e della condizione femminile di quell’ epoca e di quel luogo. I componenti essenziali non fanno difetto, ma a mio parere, il libro non va oltre una piacevole lettura. Manca un respiro più elevato che lo innalzi da semplice romanzo ad opera letteraria destinata a diventare un “classico”.
Avevo letto recensioni entusiastiche in merito a questa storia, recensioni che avevano creato una forte aspettativa in me, e forse questo ha giocato a sfavore della Ferrante, quanto più alte sono le attese e quanto più facciamo le pulci all’autore ed ai suoi libri. Senza dubbio ciò che ho apprezzato maggiormente è stata la semplicità con cui l’autrice ha reso l’idea di come fosse ( e forse di come sia tuttora) la vita in certi rioni di Napoli, senza ammantare di poesia ciò che poetico non è, semplicemente raccontando la realtà attraverso gli occhi di Lenu prima bambina e poi adolescente.
Mentre leggevo mi sono trovata più volte a pensare che “L’amica geniale” sarebbe adatto alla trasposizione in una mini serie per la tv, ecco, l’ho trovato estremamente televisivo, e credo che un bravo regista potrebbe trarne un’ottimo prodotto per il grande pubblico, ovviamente utilizzando la trilogia al completo. Perchè se non lo sapete, dopo aver letto “L’amica geniale” vi aspettano altri due tomi in cui la storia continua ( “Storia del nuovo cognome” e “Storia di chi fugge e di chi resta”) anche se devo ammettere che in fin dei conti il romanzo potrebbe anche concludersi così, con Lila e Lenu che salutano l’adolescenza e si avviano ad una nuova vita. 

Riporterò alcuni passi che mi sembrano significativi: 

“Non ho nostalgia della nostra infanzia, è piena di violenza. Ci succedeva di tutto, in casa e fuori, ogni giorno, ma non ricordo di aver mai pensato che la vita che c'era capitata fosse particolarmente brutta. La vita era cosi e basta, crescevamo con l'obbligo di renderla difficile agli altri prima che gli altri la rendessero difficile a noi.” 

“Certo, a me sarebbero piaciuti i modi gentili che predicavano la maestra e il parroco, ma sentivo che quei modi non erano adatti al nostro rione, anche se eri femmina. Le donne combattevano tra loro piu degli uomini, si prendevano per i capelli, si facevano male. Far male era una malattia.” 

“C'era qualcosa di insostenibile nelle cose, nelle persone, nelle palazzine, nelle strade, che solo reinventando tutto come in un gioco diventava accettabile.” 

“Non sapevamo niente, a quasi tredici anni, di istituzioni, leggi, giustizia. Ripetevamo, e casomai facevamo con convinzione, quello che avevamo sentito e visto intorno a noi fin dalla prima infanzia. La giustizia non si realizzava a mazzate?” 

“La plebe eravamo noi. La plebe era quel contendersi il cibo insieme al vino, quel litigare per chi veniva servito per primo e meglio, quel pavimento lurido su cui passavano e ripassavano i camerieri, quei brindisi sempre più volgari. La plebe era mia madre, che aveva bevuto e ora si lasciava andare con la schiena contro la spalla di mio padre, serio, e rideva a bocca spalancata per le allusioni sessuali del commerciante di metalli. Ridevano tutti, anche Lila, con l'aria di chi ha un ruolo e lo porta fino in fondo.” 

mercoledì 12 marzo 2014

Storia di Irene di Erri De Luca

Copertina di Storia di Irene

Poetico e surreale (3,4 stelle) 
Sono un'estimatrice di Erri De Luca, ma questa breve raccolta di racconti non ha soddisfatto le mie aspettative.
Lo stile, forse più poetico di altri suoi libri, a tratti mi è rimasto un po' pesante. Probabilmente non essendo appassionata di poesia ritrovarne un eccesso in una prosa mi disturba un po', specie se associato ad una storia surreale come quella del primo racconto.
La prima novella,"Storia di Irene", è la più lunga delle tre e quella che caratterizza il libro, ma mi è piaciuta meno delle altre.
Ho preferito di gran lunga l'ultima narrazione,"Una cosa molto stupida", brevissima ma intensa, una piccola perla di tristi verità e di una piccolissima grande gioia finale.
Resta fermo il punto che De Luca è e rimane un grande raccontatore, con il suo modo inconfondibile di scrivere e di pensare. Le sue storie non sono mai vuote, comunicano sempre una comprensione di ciò che è altro da sé, un impegno civile nella difesa degli indifesi e della terra, uno sguardo aperto sulle cose.
Sia che parli di realtà o di fantasia nel modo di raccontare di De Luca c'è sempre implicito un messaggio, anche quando apparentemente chi racconta non sembra coinvolto.

Citazioni:
"...la sua presenza è di striscio. Badano a lei come a un'ombra sul muro." 

"Faccio il conducente di storie." 

"Qualcuno è andato a strascico sul fondo. Dopo il passaggio lascia deserto. Il mare non può essere arato." 

"...la vita che aspettava un'ora di felicità per togliere il disturbo."

giovedì 6 marzo 2014

La vita davanti a sé di Romain Gary

Copertina di La vita davanti a sé
Di una bellezza disarmante. 
Romain Gary (Pseudonimo di Roman Kacew)
Dopo la morte di Kacew si scoprì che, sotto lo pseudonimo di Émile Ajar, era anche l'autore di altri quattro romanzi la cui paternità era stata attribuita ad un suo parente.

Sono venuta a conoscenza di questo diamante grezzo grazie alla Twittlettura (lettura collettiva su Twitter) cui partecipo da vari mesi ormai. Non avevo mai sentito parlare di questo autore dai molteplici pseudonimi né di questa storia che si è rivelata bellissima, e non finirò mai di ringraziare chi me li ha fatti scoprire.
“La vita davanti a sé” è ambientato nel 1970 a Parigi ed è il racconto autobiografico, dall’infanzia all’età attuale, di un quattordicenne trovatosi a vivere un’esistenza decisamente difficile. Momo, il protagonista, narra la sua vita di “figlio di puttana” dato in custodia ad una vecchia signora, Madame Rosa, puttana anch’essa in pensione, che raccoglie a casa sua dietro compenso i figli delle meretrici di professione.
Il libro si legge con una facilità incredibile, è scritto in modo semplice e diretto, proprio come se fosse un bambino non troppo istruito ma di una sensibilità stupefacente a raccontare in prima persona. Inizialmente, nonostante il fascino indiscutibile della storia, sono rimasta un po’ infastidita dagli strafalcioni incontrati e mi sono chiesta se l’uso spesso errato dei verbi fosse una scelta del traduttore o dell’autore, ma ben presto ho compreso che lo stile sgrammaticato è certamente voluto, per tradurre il modo di parlare e di pensare di un ragazzino dei bassifondi parigini. Momo è circondato da brutture che racconta con la naturalezza tipica di chi le vive come una cosa normale, il candore e l’inclemenza al tempo stesso del suo sguardo ci portano in una realtà durissima, in cui troviamo però tanta umanità nel senso positivo del termine.
Argomenti spinosi, tuttora reputati tabù, vengono qui affrontati con una semplicità ed una chiarezza disarmante, in questo libro nulla è osceno, nulla è volgare seppur le cose vengano chiamate con il loro nome. Esistono delle verità e ce le ritroviamo tra le mani senza falsi pudori, verità crude che viste attraverso il giovane protagonista diventano perfino accettabili.
Credo di non aver mai sottolineato così tante frasi in un libro.
“La vita davanti a sé” è una citazione continua, trovare frasi belle da abbinare ai miei dipinti e da riportare nella Twittlettura è stato facile, si tratta di un romanzo in cui basta aprire una pagina a caso per trovare frasi folgoranti e ampiamente condivisibili.
Potrei continuare a dilungarmi in lodi sperticate analizzando i vari temi toccati da Gary, ma mi fermo qui, non voglio analizzare ciò che ci viene servito già chiarissimo, voglio semplicemente incoraggiare la lettura questo bellissimo libro, invitare chi mi legge ad accostarvisi senza pregiudizi e moralismi ed a farsi coinvolgere da una storia veramente speciale.
Citazioni
Le citazioni, trattandosi di una Twittlettura, sono riunite nel post apposito, ognuna abbinata ad uno dei miei dipinti a questo LINK




sabato 1 marzo 2014

Severina di Rodrigo Rey Rosa

Copertina di Severina

Voltiamo pagina che è meglio.




Ho appena finito di leggerlo e già non lo ricordo più.
L'unico pregio di questo libro è che è scritto con uno stile decente, ma per quanto riguarda i contenuti l'ho trovato vuoto. Personaggi sfuggenti e non approfonditi che dovrebbero affascinare ma che mi hanno irritato solamente.
Sono rimasta stupita da questo libro perchè avevo letto un'altro libro di Rey Rosa ( Quel che sognò Sebastian ) e sinceramente, pur non avendomi entusiasmata per un eccessiva crudezza della storia, mi era parso un autore di un certo spessore. Qui lo spessore è scomparso decisamente.
Non è sufficiente parlare di libri in un libro (cosa che mi pare vada di moda al momento) né basta una figura femminile misteriosa a creare una storia appetibile, la storia non c'è. E non basta nemmeno definire il romanzo "chagalliano" nel retro di copertina per giustificarne l'inconsistenza.
Centodieci pagine scritte con caratteri grandi per allungare una minestra insipida.